LUMEN CHRISTI B 55

La Lettera Apostolica Mulieris dignitatem (V)

In Maria è già apparsa chiaramente la dignità della donna: come era presente presso il primo Adamo, così lo è anche presso il secondo Adamo, quale associata all’ordine della Redenzione. In questo capitolo, meditiamo l’atteggiamento di Cristo nei confronti della donna (nn. 12-14) e la missione profetica a lei affidata (nn. 15-16).

1 – Il contrasto fra la situazione storica e ciò che era in principio

Anche se la situazione della donna nell’Antico Testamento era abbastanza complessa (Giuditta, Ester), al tempo di Gesù la donna era considerata subordinata all’uomo: così per san Matteo la genealogia di Gesù segue la linea del padre legale. I1 Papa citerà esempi concreti di trattamento ineguale della donna.

In questo campo, come in tutti gli altri, Gesù si rifà a ciò che era “all’inizio”. Egli contempla sempre il Disegno del Padre prima del peccato, prima della stessa creazione: “Proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo” (Mt 13,35); “Tu mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,25).

MD n.12: “È universalmente ammesso… come uomo e donna”.

Ciò vale in particolare per il problema del divorzio: la Legge mosaica riconosceva un privilegio dell’uomo nei confronti della donna; Gesù invece ricorda il principio dell’uguaglianza radicale dell’uomo e della donna, principio ristabilito dal Vangelo

MD n.12: “I1 principio… del Vangelo e della redenzione”.

L’atteggiamento stesso di Gesù verso le donne è sempre di rispetto e di bontà, specialmente verso le donne malate o inferme.

MD n.13: “Scorrendo… della figlia”.

Gesù considera la donna “figlia di Abramo” alla pari con l’uomo “figlio di Abramo”.

2 – La debolezza morale della donna e la colpa dell’uomo

Mentre i Farisei consideravano la debolezza della donna un motivo di disprezzo, Gesù ribadisce l’uga1e dignità di tutte le persone umane sia uomini che donne. Così, il Santo Padre, dopo aver presentato alcuni casi di debolezza morale e sottolineato la comprensione di Gesù, così conclude:

MD n.13: “Questi episodi… si spiega compiutamente.

Soffermandosi poi sul racconto della donna sorpresa in adulterio, il Santo Padre sottolinea la responsabilità dell’uomo in tali casi.
Gesù infatti, invece di mettersi dalla parte degli uomini, “provoca la consapevolezza del peccato in essi” e poi amplia il suo discorso a tutti i casi in cui la donna “paga sola” il suo peccato che è pur condiviso dall’uomo.

MD n.14: “È questa una verità… dal principio”.

In realtà il Vangelo, invece di avallare la situazione di rivalità fra uomo e donna, li rimanda all’amore e all’unità dei due.

MD n.14: “Cristo faceva tutto il possibile…. di sfruttamento”.


Passi Scritturistici

MD n.12

È universalmente ammesso – persino da parte di chi si pone in atteggiamento critico di fronte al messaggio cristiano – che Cristo si sia fatto davanti ai suoi contemporanei promotore della vera dignità della donna e della vocazione corrispondente a questa dignità. A volte ciò provocava stupore, sorpresa, spesso al limite dello scandalo: «Si meravigliavano che stesse a discorrere con una donna» (Gv 4, 27), perché questo comportamento si distingueva da quello dei suoi contemporanei. «Si meravigliavano», anzi, gli stessi discepoli di Cristo. Il fariseo, nella cui casa la donna peccatrice andò per ungere con olio profumato i piedi di Gesù, «pensò tra di sé: ” Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice”» (Lc 7, 39). Di sgomento ancora più grande, o addirittura di «santo sdegno», dovevano riempire gli ascoltatori soddisfatti di sé le parole di Cristo: «I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio» (Mt 21, 31).
Colui che parlava ed agiva così faceva capire che «i misteri del Regno» gli erano noti fino in fondo. Egli anche «sapeva quello che c’è in ogni uomo» (Gv 2, 25), nel suo intimo, nel suo «cuore». Era testimone dell’eterno disegno di Dio nei riguardi dell’uomo da lui creato a sua immagine e somiglianza, come uomo e donna.

MD n.12

Il principio di questo «ethos», che sin dall’inizio è stato inscritto nella realtà della creazione, viene ora confermato da Cristo contro quella tradizione, che comportava la discriminazione della donna. In questa tradizione il maschio «dominava», non tenendo adeguatamente conto della donna e di quella dignità, che l’«ethos» della creazione ha posto alla base dei reciproci rapporti delle due persone unite in matrimonio. Questo «ethos» viene ricordato e confermato dalle parole di Cristo: è l’«ethos» del Vangelo e della redenzione.

MD n.13

Scorrendo le pagine del Vangelo, passa davanti ai nostri occhi un gran numero di donne, di diversa età e di diverso stato. Incontriamo donne colpite da malattia o da sofferenze fisiche, come la donna che aveva «uno spirito che la teneva inferma, era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo» (cfr. Lc 13, 11), o come la suocera di Simone che era «a letto con la febbre» (Mc1, 30), o come la donna «affetta da emorragia» (cfr. Mc 5, 25-34), che non poteva toccare nessuno, perché si riteneva che il suo tocco rendesse l’uomo «impuro». Ciascuna di loro fu guarita, e l’ultima, l’emorroissa, che toccò il mantello di Gesù «tra la folla» (Mc 5, 27), fu da lui lodata per la grande fede: «La tua fede ti ha salvata» (Mc 5, 34). C’è poi la figlia di Giairo, che Gesù fa tornare in vita, rivolgendosi a lei con tenerezza: «Fanciulla, io ti dico, alzati!» (Mc 5, 41). E ancora c’è la vedova di Nain, alla quale Gesù fa ritornare in vita l’unico figlio, accompagnando il suo gesto con un’espressione di affettuosa pietà: «Ne ebbe compassione e le disse: “Non piangere!”» (Lc 7, 13). E infine c’è la Cananea, una donna che merita da parte di Cristo parole di speciale apprezzamento per la sua fede, la sua umiltà e per quella grandezza di spirito, di cui è capace soltanto un cuore di madre: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri» (Mt 15, 28). La donna cananea chiedeva la guarigione della figlia.

MD n.13

Questi episodi costituiscono un quadro d’insieme molto trasparente. Cristo è colui che «sa che cosa c’è nell’uomo» (cfr. Gv 2, 25), nell’uomo e nella donna. Conosce la dignità dell’uomo, il suo pregio agli occhi di Dio. Egli stesso, il Cristo, è la conferma definitiva di questo pregio. Tutto ciò che dice e che fa ha definitivo compimento nel mistero pasquale della redenzione. L’atteggiamento di Gesù nei riguardi delle donne, che incontra lungo la strada del suo servizio messianico, è il riflesso dell’eterno disegno di Dio, che, creando ciascuna di loro, la sceglie e la ama in Cristo (cfr. Ef 1, 1-5). Ciascuna, perciò, è quella «sola creatura in terra che Dio ha voluto per se stessa». Ciascuna dal «principio» eredita la dignità di persona proprio come donna. Gesù di Nazareth conferma questa dignità, la ricorda, la rinnova, ne fa un contenuto del Vangelo e della redenzione, per la quale è inviato nel mondo. Bisogna, dunque, introdurre nella dimensione del mistero pasquale ogni parola e ogni gesto di Cristo nei confronti della donna. In questo modo tutto si spiega compiutamente.

MD n.14

È questa una verità valida per tutto il genere umano. Il fatto riportato nel Vangelo di Giovanni si può ripresentare in innumerevoli situazioni analoghe in ogni epoca della storia. Una donna viene lasciata sola, è esposta all’opinione pubblica con «il suo peccato», mentre dietro questo «suo» peccato si cela un uomo come peccatore, colpevole per il «peccato altrui», anzi corresponsabile di esso. Eppure, il suo peccato sfugge all’attenzione, passa sotto silenzio: appare non responsabile per il «peccato altrui»! A volte si fa addirittura accusatore, come nel caso descritto, dimentico del proprio peccato. Quante volte, in modo simile, la donna paga per il proprio peccato (può darsi che sia lei, in certi casi, colpevole per il peccato dell’uomo come «peccato altrui»), ma paga essa sola, e paga da sola! Quante volte essa rimane abbandonata con la sua maternità, quando l’uomo, padre del bambino, non vuole accettarne la responsabilità? E accanto alle numerose «madri nubili» delle nostre società, bisogna prendere in considerazione anche tutte quelle che molto spesso, subendo varie pressioni, pure da parte dell’uomo colpevole, «si liberano» del bambino prima della nascita. «Si liberano»: ma a quale prezzo? L’odierna opinione pubblica tenta in diversi modi di «annullare» il male di questo peccato; normalmente, però, la coscienza della donna non riesce a dimenticare di aver tolto la vita al proprio figlio, perché essa non riesce a cancellare la disponibilità ad accogliere la vita, inscritta nel suo ethos dal «principio».

MD n.14

Cristo faceva tutto il possibile perché – nell’ambito dei costumi e dei rapporti sociali di quel tempo – le donne ritrovassero nel suo insegnamento e nel suo agire la propria soggettività e dignità. In base all’eterna «unità dei due», questa dignità dipende direttamente dalla stessa donna, quale soggetto per sé responsabile, e viene nello stesso tempo «data come compito» all’uomo. Coerentemente Cristo si appella alla responsabilità dell’uomo. Nella presente meditazione sulla dignità e vocazione della donna, oggi bisogna riferirsi necessariamente all’impostazione che incontriamo nel Vangelo. La dignità della donna e la sua vocazione – come, del resto, quelle dell’uomo – trovano la loro eterna sorgente nel cuore di Dio e, nelle condizioni temporali dell’esistenza umana, sono strettamente connesse con l’«unità dei due». Perciò ciascun uomo deve guardare dentro di sé e vedere se colei che gli è affidata come sorella nella stessa umanità, come sposa, non sia diventata nel suo cuore oggetto di adulterio; se colei che, in vari modi, è il co-soggetto della sua esistenza nel mondo, non sia diventata per lui «oggetto»: oggetto di godimento, di sfruttamento.